Bonus Ricerca e Sviluppo a maglie strette. Nel campo di applicazione del credito d’imposta non rientrano automaticamente tutte le attività di tipo innovativo che l’impresa intraprende, ma esclusivamente quelle che, nell’ambito del più ampio processo d’innovazione, si caratterizzino per la presenza di reali contenuti di ricerca e sviluppo secondo i criteri di classificazione e qualificazione individuati dalla normativa che devono intendersi valevoli anche in relazione al settore del software, nel cui ambito si collocano gli investimenti effettuati dalla società. Il chiarimento, recepito nella Risoluzione n. 40/E pubblicata dalle Entrate, è stato reso dal Ministero dello Sviluppo Economico in risposta a una richiesta di parere dell’Amministrazione finanziaria avanzata a seguito di interpello.
Il caso
La società istante (Codice Ateco: 61.1), avendo registrato un significativo trend di crescita negli ultimi anni, nel 2017 ha intrapreso un progetto di ricerca e sviluppo, finalizzato alla ricerca di sistemi e procedure che consentissero all’azienda di incrementare l’efficienza della gestione dei flussi di lavoro e di migliorare la formazione del personale. Alle Entrate si rivolge per chiedere se le attività connesse a tale progetto rientrano nelle disposizioni di cui all’art. 3, comma 4, lettere c) e d), c.d. “sviluppo sperimentale” e, dunque, se possono beneficiare del bonus R&S.
La Risposta
Come anticipato, le Entrate, a loro volta, si sono rivolte al MISE che ha rilasciato un parere negativo. “Le attività intraprese dalla società – si legge nel parere – pur rappresentando investimenti innovativi, funzionali, se non necessari, per l’efficientamento dei processi di produzione dei servizi dalla stessa realizzati, si sostanziano nell’applicazione di moderne tecnologie già note e già introdotte anche nel settore di appartenenza e si ricollegano, in senso ampio, alla “digitalizzazione” dei processi di produzione (…) in coerenza con la prassi adottata da questo ufficio in relazione ad analoghe attività nel settore del software, si ritiene che gli investimenti realizzati dall’impresa devono più correttamente essere inquadrati nella categoria “innovazione di processo”, come definita e descritta dal Manuale di Oslo, concernente “Guidelinesfor Collecting and Interpreting Innovation Data” (OCSE 2005) e che in materia di innovazione è l’equivalente del Manuale di Frascati in materia di ricerca e sviluppo”. Trattandosi di investimenti nella categoria “innovazione di processo” esulano dalle categorie di investimenti agevolabili che, tradizionalmente, sono quelli relativi alla “ricerca fondamentale”, alla “ricerca industriale” e allo “sviluppo sperimentale”. Sul punto, dal MISE hanno ricordato che “l’esclusione delle “innovazioni di processo” anche dall’ambito di applicazione del nuovo credito d’imposta è stata di recente espressamente ribadita dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione 22 giugno 2018, n. 46/E, in riferimento a una fattispecie caratterizzata per il fatto che le attività e le spese per le quali veniva richiesta l’ammissione al beneficio consistevano essenzialmente nell’introduzione e nell’applicazione da parte dell’impresa istante di numerose tecnologie e immobilizzazioni tecniche d’avanguardia, ma già ampiamente diffuse e disponibili anche nel settore di riferimento.”
FiscoPiù